Il calcio visto attraverso i numeri e l'economia; e poi quarant'anni fa, il record di Mennea sui 200

Come le leggi dell'economia e la teoria dei numeri possono spiegare il calcio; e il racconto di quella volata di Mennea, nei 200 di Città del Messivo
Il calcio visto attraverso i numeri e l'economia; e poi quarant'anni fa, il record di Mennea sui 200
Massimo Grilli
5 min

Il calcio viene (veniva?) considerato il regno dell’imponderatezza. Anche se poi vince sempre o quasi la Juventus, ci piace (piaceva?) pensare che il risultato di qualunque partita, per quanto indirizzata dalla maggiore o minore forza tecnica delle squadre in campo, possa variare per un palo, un ciuffo d’erba troppo cresciuto, un errore che non ti aspetti. Eppure cresce l’interesse e lo studio delle statistiche applicate a questo sport. La categoria dei Data Analyst, quelli che vanno in giro per gli stadi con un iPad dove registrano andamenti e numeri delle gare a cui assistono, è in aumento, probabilmente nessun tecnico dei principali campionati del mondo ne può ormai fare a meno. In questa direzione va questo libro, molto divertente e interessante, scritto da un giornalista sportivo, Simon Kuper, noto per i suoi “Ajax, la squadra del ghetto” e “Calcio e potere”, e da un economista, Stefan Szymanski. I due hanno ripreso, ampliandolo con le novità di uno sport in continuo movimento, un libro di dieci anni fa, “Calcionomica”, al cui titolo hanno tolto una consonante, forse per sottolineare questa volta l’importanza dell’economia nella loro ricerca. Kuper e Szymanski partono appunto dalle leggi dell’economia e dalle statistiche del calcio per addentrarsi in tutti i campi dello scibile pallonaro, dal calciomercato (notevoli le loro 13 regole che andrebbero seguite, tra cui
“I centravanti sono sopravvalutati e i portieri sottovalutati”, oppure “Comprate giocatori con problemi personali e aiutate a risolverli”) all’importanza dell’allenatore (sopravvalutata, secondo i due autori), dall’incidenza dei calci di rigore (dall’incisivo sottotitolo, “I rigori sono ingiusti con tutti o solo se sei Nicolas Anelka?”) al fatto se sia un affare o no ospitare un Campionato del Mondo (sì, rispondono in coro i due). Non mancano alcuni divertenti aneddoti, tra cui uno che riguarda Roberto Mancini: qualche anno fa gli statistici del Manchester City avevano studiato i gol su calcio d’angolo, arrivando alla conclusione che la maggior parte delle segnature nasceva da tiri a rientrare, indirizzati verso il primo palo. Mancini - a quei tempi allenatore del City - non era d’accordo, preferiva che i suoi giocatori battessero gli angoli “a uscire”, fino a che, dopo un colloquio con il suo “secondo”, David Platt, e il reparto statistico, decise di farli battere a rientrare. Il risultato? Nel campionato 2011/12 la sua squadra segnò 15 gol da corner. Meditate gente, meditate.
CALCIONOMIA, economia, segreti e curiosità del calcio mondiale; di Simon Kuper e Stefan Szymanski, ilSaggiatore Editore, 501 pagine, 28 euro.

«Io devo prendermela con qualcuno per ottenere risultati, quasi tutti i miei record sono venuti dopo grosse arrabbiature»; «Mi hanno spesso dipinto come presuntuoso, arrogante, antipatico. Quando rifiutavo un invito alla “Domenica Sportiva” perché la mattina dopo dovevo studiare, oppure rifiutavo di raccontare per la millesima volta il record del mondo o la vittoria alle Olimpiadi di Mosca. Mennea ha sempre corso per dimostrare che valeva qualcosa, non per raccontarlo in giro». «L’Italia non mi ha dato spazio. Qui c’è una mentalità piena di invidia e di gelosie per chi con merito sale in alto». Quarant’anni fa o poco più, il 12 settembre del 1979, Pietro Paolo Mennea - sono sue le frasi delle righe sopra - stabiliva uno dei record del mondo più clamorosi della storia dell’atletica leggera, quel 19”72 che resisterà fino al 1996 e alla cavalcata verso l’oro olimpico di Michael Johnson. Un anno dopo, il barlettano - scomparso nel 2013 - vinceva la stessa gara alle Olimpiadi di Mosca, suggellando così una carriera straordinaria, ma corsa sempre contro vento, contro l’establishment dello sport, contro il doping e chi ne faceva uso. Dopo le opere su Socrates e Moana Pozzi, Pippo Russo ci regala per le edizioni Clichy un altro prezioso libretto, ricostruendo gli aspetti umani e sportivi di Mennea e soprattutto facendoci rivivere quasi minuto per minuto quel tiepido pomeriggio di settembre alle Universiadi messicane, l’impresa di «uno degli ultimi eroi di una velocità andata in estinzione», uno che, tagliato il traguardo e visto il tempo sul tabellone, reagì così: «Ma siamo nel 1979, mica nel 1972», forse per regalarsi e regalare l’ennesima battuta tagliente. Uno che cominciò a correre con un paio di pantaloncini cuciti dal padre sarto e con scarpe di misura più grande, che fece della fatica e del lavoro il suo unico credo: «Nella mia carriera sportiva mi sono allenato cinque-sei ore al giorno, tutti i giorni, per 365 giorni l’anno, tra gare e allenamenti, per quasi venti anni», si legge nel capitolo finale, dedicato alle sue frasi più famose.
PIETRO MENNEA, più veloce del vento; a cura di Pippo Russo, Edizioni Clichy, 103 pagine, 7,90 euro.


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