Nadia Fario: una vita dritta al bersaglio

La campionessa di Tiro a segno con pistola racconta come dalle prime competizioni è arrivata a Rio 2016, mentre si prepara a nuove importanti competizioni come quella in corso in questi giorni in Corea del Sud
Nadia Fario: una vita dritta al bersaglio
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Nadia Fario, padovana, quando qualche anno fa si è avvicinata al Tiro a segno, mai avrebbe immaginato che nel 2016 si sarebbe trovata a competere alle Paralimpiadi di Rio. «Un'emozione grandissima» racconta, che l'ha spinta a continuare a migliorarsi. L'abbiamo incontrata mentre preparava le valigie per la Corea del Sud, dove in questi giorni sta disputando i Mondiali, per parlare del suo percorso, dai primi passi fino alle più grandi soddisfazioni conquistate fino ad ora. E sulle gare future? «Non voglio dire nulla», scherza «...per scaramanzia!».

 

Quando e come è arrivata la passione per il Tiro a segno con pistola?

«Io sparavo così, per divertimento. Andavo con amici al poligono, e finiva lì. Poi, facendo volontariato al Millennium Basket, un'associazione di pallacanestro in carrozzina, ho conosciuto quello che adesso è il mio compagno, che veniva dalla nazionale Tiro a segno disabili, e gli ho chiesto informazioni su come apprendere il maneggio delle armi e come approcciarmi al tiro a segno. Così lui mi ha aperto la strada, mi ha insegnato a sparare e... da cosa è nata cosa. Ho iniziato per diletto, per trovare un momento di sfogo e liberare la mente da tutti i problemi. Poi lui ha detto che sparavo bene, mi ha detto “Vedrai che avrai delle soddisfazioni”. E poi c'è stata l'associazione sportiva di Padova l'ASPEA, che ha creduto in Me che mi ha sempre supportato».

 

Quando ha capito di essere davvero brava e competitiva?

«Nel 2014 ho vinto il mio primo argento ad Hannover, e poi nel 2015 ho fatto una coppa del mondo ad Osijek,dove ho vinto il mio primo bronzo ai 50 metri che mi ha dato l'accesso diretto a Rio 2016».

 

A proposito di Rio 2016, che emozioni ha provato? Che esperienza è stata?

«Diciamo che è stato tutto così veloce, non mi sono resa conto subito di come funzionasse realmente, di tutti i passaggi necessari per qualificarsi. Per esempio, per qualificarsi ai mondiali bisogna avere un punteggio minimo. Ecco, io questa cosa non l'avevo assimilata, io sparavo perché mi piaceva, e invece in tre gare, dal 2014 al 2016, mi sono ritrovata a Rio. Ed essere a Rio è stata un'emozione enorme. Un'esperienza che qualsiasi sportivo dovrebbe provare, perché è Sport. Respiri solo aria di sport. Successi, insuccessi, fatiche: tutto quanto ti dà una carica pazzesca».

 

Quali le soddisfazioni più grandi?

«A novembre ho conquistato a Bangkok un bronzo ai 50 metri. È una gara a cui partecipano uomini e donne, e arrivare sul podio è un risultato molto soddisfacente. Poi ad Osijek, nel 2015, è stata la prima volta in cui due donne sono arrivate in finale: sul podio eravamo io, bronzo, e l'raniana Sareh Javanmardidodmani, argento».

 

Come gestisce il suo allenamento?

«Mi alleno al poligono di Padova, che è aperto dal mercoledì alla domenica, e il martedì per gli agonisti. Chiaramente quando mi avvicino alle gare importanti, come quella che sto per fare, mi alleno cinque giorni sui cinque di apertura. Di solito i quattro giorni li divido in due allenamenti di aria compressa e due di pistola libera, quindi due ai 10 metri e due ai 50 metri. Di solito faccio un giorno di riposo che dedico a capire su che cosa devo lavorare e allenarmi meglio».

 

Che ruolo ha invece l'allenamento mentale in questo sport?

«Ahimé, l'80% dell'allenamento è mentale e il 20% fisico. Il fattore concentrazione è fondamentale. La tecnica di allenamento mentale è molto personale, chi fa la mindfulness, chi il training autogeno, ognuno applica quello che sente più suo o che ha praticato di più. Bisogna comunque allenarlo parecchio».

 

Quali le differenze tecniche tra sparare in piedi o da seduta?

«Credo che questo sia l'unico sport in cui atleti di varie categorie di disabilità sparano tutti assieme. Chi spara seduto ha una difficoltà enorme, perché si spara dal basso verso l'alto rispetto al bersaglio, ed è davvero difficile. Questo però non deve abbattere. Anche perché la ragazza che ha vinto l'oro a Rio sia sui 10 che sui 50 metri, l'iraniana Sareh Javanmardidodmani, spara da seduta».

 

I prossimi obiettivi?

«Siamo appena tornati dalla Polonia con un bronzo a 10 metri e adesso il prossimo obiettivo sono i Mondiali in Corea (Cheongju, ndi) ma... non dico niente (ride, ndi)! Spero solo di divertirmi come faccio di solito».

 

Quando è cominciato il suo rapporto con AISM?

«Non ho avuto una diagnosi corretta fino al 2006. La mia vita ovviamente è cambiata, non solo a livello fisico, ma anche attorno a me. Ho cominciato a chiudermi e a nascondermi, ma dopo un anno e mezzo circa, cercando uno psicologo, ho trovato AISM. Mi sono presentata lì e sono stata visitata da loro a 360°. Da AISM in realtà ho trovato una grande famiglia, la mia seconda famiglia. Guai se non ci fosse! Mi ascolta, mi segue, mi supporta e mi sopporta in tutto. Mi ha fatto capire che devo pensare a me come Nadia Fario, non a me come una persona con una patologia. L'AISM mi ha fatto vedere che non ci deve essere paura o vergogna, perché siamo tutte persone, tutti uguali, da in piedi o da seduti».

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